Il missionario e il senso della giustizia
“Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia e i suoi piani superiori senza equità, fa lavorare il prossimo per niente, senza dargli il salario … Pensi di essere un re perché sei riuscito a costruirti un palazzo lussuoso e spazioso? … Ricordati di tuo padre Giosia, che praticava il diritto e la giustizia, e così era veramente re. Difendeva la causa del povero e dell’oppresso, e così era veramente re. Non è forse questo che significa conoscermi?” (Ger 22,13. 14 -16).
Sì, praticare la giustizia è conoscere Dio. Questa intuizione profetica è straordinaria, perché dice che si conosce veramente Dio non nei riti, non nelle osservanze ascetiche, ma facendo e vivendo la giustizia. La fede di Israele confessa dunque che “il Signore è giusto”, e chi crede in lui deve vivere la giustizia. Il missionario che parte per annunciare il vangelo non può fare a meno di vivere la giustizia. Una delle caratteristiche che accomunano la stragrande maggioranza dei missionari è il desiderio della giustizia. Coloro che scelgono di vivere nei luoghi più remoti della terra acuiscono il senso della giustizia. In effetti finché non ci sarà giustizia in questo mondo non ci sarà pace. Molti missionari, da sempre, si sono schierati dalla parte dei più poveri denunciando le ingiustizie a cui molti uomini e donne sono sottoposti per il benessere di pochi.
Chi vive in frontiera vede le cose da un’angolatura diversa al punto da essere critico con il mondo circostante. Sono un esempio le guerre che sono volute e gestite da interessi che non toccano la massa, ma i pochi che vogliono beneficiare di quelle risorse naturali. La stragrande maggioranza dei conflitti è concentrata nelle nazioni dove ci sono ricchezze minerali-naturali enormi. Il paradosso è che queste nazioni pur avendo risorse enormi sono in guerra e la gente vive sulla soglia della povertà. Un missionario non può tacere di fronte a queste ingiustizie perché è lo stesso Vangelo che apre gli occhi su quella realtà. Quante ingiustizie si vedono, ma alcune volte per il bene della gente è anche doveroso tacere, perché le popolazioni locali devono anche imparare a difendersi. Noi vorremmo fare giustizia semmai con la forza, per riportare la giustizia, ma la nostra giustizia è diversa da quella di Dio. La giustizia di Dio è impregnata di misericordia.
Dio avrebbe una giustizia da instaurare, ma non la compie a mo’ di pena punitiva, come penserebbe una giustizia umana, bensì ha nel suo cuore un sentimento che si ribella all’esecuzione di una giustizia legale: per questo fa misericordia. Questa – dice il profeta – è la santità di Dio, il suo modo di agire in cui giustizia e misericordia sono immanenti l’una all’altra e non in concorrenza. In Dio non c’è una giustizia alla quale si applica il correttivo della misericordia, ma la sua giustizia è capace di contenere la misericordia, il perdono.
Oggi viviamo in un contesto coloniale più tragico del passato, perché le grandi multinazionali hanno cambiato pelle, ma non il cuore affamato di potere. Quanti progetti non toccano la vita della gente, non aiutano la gente a crescere. Quanti pseudo aiuti umanitari ci sono nel mondo, basta fare una ricerca nel mondo dell’etere per comprendere come tante “organizzazioni umanitarie” sono sostenute da fondazioni create appositamente per coprire interessi oscuri di lobby.
Negli ultimi anni c’è una tendenza nell’investire nei progetti di agricoltura, ma con scarsissimi risultati, perché le risorse da investire non arrivano mai realmente alla gente. Le risorse economiche sono spese in infrastrutture e processi organizzativi e nella conduzione stessa dei progetti. Progetti da milioni di euro che spariscono nel giro di poco più di un anno. Quante volte, per amore del popolo dobbiamo anche tacere. Quante ingiustizie sono perpetrate sulla povera gente. Purtroppo, oggi è ancora più difficile parlare, alzare la voce indifesa dei più poveri perché anche gli stati sono entrati in questo circolo di corruzione e di compromessi dove non viene più visto il bene della comunità, ma solo l’interesse economico di pochi. Il missionario deve proteggere sé stesso e la vita di coloro che gli sono accanto, per questo il suo silenzio non è quello di tipo omertoso, ma mirato a rimanere accanto a chi soffre. Quante tribù si fanno guerra tra loro, per un problema che viene creato dall’alto, e i loro capi ricevono cospicue somme di denaro pur di attuare questi pseudo problemi. Quante ingiustizie! Purtroppo, molte volte si sceglie la via del silenzio per poter rimanere accanto alla gente e cercare nel silenzio e dal di dentro di formare coscienze capaci di prendere posizione di fronte al male imperante. È un lavoro silenzioso, ma necessario. Solo formando delle coscienze alla verità, alla giustizia, alla pace potremmo dire che c’è stata inculturazione del Vangelo. Non basta dirsi cristiani per esserlo, perché lasciare che il vangelo normi la nostra vita è cosa assai difficile, ma possibile. Ecco perché la più grande ingiustizia che si commette è non lasciare che il vangelo si radichi nella nostra vita, perché la parola di Dio accettata e vissuta rende liberi e chi è libero è giusto. Chi è giusto vive in pace con sé stesso e il mondo. Finché non saremo educati alla giustizia- verità, non ci sarà pace. Il Cristiano non può essere neutrale, perché essere neutrali vuol dire ancora una volta acconsentire al male.