Giuseppe Antonio Borgese (1882 – 1952) fu una delle personalità culturali più autorevoli del primo Novecento italiano.
Docente universitario, non era fascista e perciò veniva sistematicamente aggredito, anche fisicamente, dai fascisti. Accettò la proposta di Lauro De Bosis, liberale antifascista che insegnava negli Stati Uniti dal 1926, di andare per sei mesi, come Visiting professor, all’Università di Berkeley. Vi rimase 17 anni.
Era già distaccato in America quando, nel 1931, fu chiesto ai docenti universitari di giurare fedeltà al fascismo: «Tranne l’amor di patria, che io però non so concepire come odio alle patrie altrui, nulla in me è fascista. Come posso io giurare di educare fascistamente la gioventù?». Non giurò e fu licenziato. Mussolini annotò: «Gli si poteva perdonare il passato. Non l’oggi. Continua ad essere un nemico».
Nel 1937 pubblicò negli Stati Uniti un saggio, Golia, in cui il fascismo è descritto come una peculiare “malattia italiana”, diffusa in un Paese incerto nel distinguere tra desiderio e realtà, e per questo affascinato da una guida carismatica a cui affidarsi.
L’antifascismo di Borgese in Golia si infiamma. Mussolini è «un uomo di umili origini, proveniente da un gretto ambiente plebeo, da un buco provinciale che puzzava di spazzatura e di vino». Al duce egli dedica una cinquantina di pagine beffarde e satiriche. Ma è interessante ciò che Borgese scrive sull’ateismo di Mussolini, che Papa Pio XI definì “l’uomo della Provvidenza”, cadendo in un grave errore di valutazione, solo in funzione del Concordato tra Stato e Chiesa sottoscritto nel 1929, quindi in virtù di un fatto politico, che sarebbe poi stato rivisto nel 1984 dal governo Craxi. Papa Ratti chiuse gli occhi sulle violenze fasciste e sui morti per mano dei fascisti, cosa molto grave.
Mussolini fu un accanito anticlericale e un fervente anticristiano.
Durante il suo soggiorno in Svizzera era stato organizzato un dibattito con un oratore cattolico sull’esistenza o meno di Dio. Per primo parlò il cattolico, che si dilungò a lungo in dotte asserzioni.
Quando toccò a Mussolini, questi si alzò, estrasse il suo orologio da
taschino, e lanciò la sfida: se Dio esisteva avrebbe dovuto fulminarlo entro
cinque minuti. Questo tempo trascorse sulla sala in silenzio, e si concluse
con l’ovazione dei socialisti presenti (Mussolini fu socialista prima di mettersi a capo delle squadracce fasciste).
Da giovane, nel 1904, scrisse un opuscolo intitolato Dio non esiste. Per il futuro duce l’universo è «la manifestazione della materia, che è una, eterna, indistruttibile, non ebbe mai principio e non avrà mai fine». L’anima è la nostra mente, che a sua volta è un meccanismo simile a quello dell’orologio. La religione è un sistema inventato dai re e dagli oppressori per schiacciare sudditi e schiavi. La fede e ogni tipo di conformismo sono peculiari delle bestie e delle razze inferiori. Cristo molto probabilmente non è mai esistito; se esistette, egli fu un individuo piccolo e meschino, il quale non fece altro che evangelizzare, per un paio d’anni, «pochi villaggi e persuadere una dozzina di vagabondi ignoranti – gli scarti della plebe della Palestina».
Il suo odio per Cristo fu quindi radicato profondamente nella sua anima. Per lui Gesù non soltanto era un pigmeo, un moscerino, ma egli osò contrapporre alla Sua docilità una sua teoria universale di vendetta e di violenza.
Questo fu Mussolini e questo fu il fascismo, che Borgese definì «il misticismo della disperazione» («Ogni disperazione è fascista»), «il fatto della potenza sostituito all’idea della giustizia».
Chi, ancora oggi, tesse gli elogi di Mussolini, ritenendo che abbia fatto cose buone, o è un ignorante assoluto o idolatra la violenza e il male. Non a caso Mussolini e Hitler si allearono e portarono l’inferno sulla terra. Due regimi nemici di Dio e degli uomini, entrambi finiti tragicamente.
Testo consigliato: Giuseppe Antonio Borgese, Golia, Marcia del Fascismo, La nave di Teseo, Milano, 2022.